Cariche sociali e lavoro subordinato: sulla compatibilità “non v’è certezza”…..

C’era una volta la subordinazione…… e così ci hanno insegnato che è prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga, dietro retribuzione, a prestare lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione di un altro soggetto che assume su di sé l’organizzazione, il risultato ed il rischio di tale lavoro.

La definizione contenuta nell’articolo 2094 del codice civile appena riportata tratteggia la figura di un contratto eterodiretto, oneroso e a prestazioni corrispettive, dal quale scaturiscono obblighi, diritti e tutela previdenziale.

Uno tra i grandi “classici” del diritto del lavoro è stato, ma di fatto continua ad essere, il corretto inquadramento della prestazione lavorativa nell’alveo del lavoro subordinato, autonomo o più di recente, in quello della parasubordinazione.

Se negli anni la copiosissima produzione giurisprudenziale ed amministrativa ha cercato di rendere più agevole l’individuazione del discrimine declinando criteri distintivi più o meno consolidati per ognuno dei rapporti di lavoro richiamati, permangono in ogni caso criticità riguardo a tutta una serie di prestazioni che, in ragione delle modalità di svolgimento, ovvero per situazioni proprie del lavoratore, richiedono maggiore approfondimento.

L’Inps con messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019 ha posto l’attenzione sulla compatibilità di un rapporto di lavoro subordinato per i soggetti che rivestono cariche sociali nell’ambito delle stesse società di capitali.

Trattasi, in sintesi, di un recap  delle “puntate precedenti” nel quale l’Istituto mette in evidenza gli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi anni sul tema, nell’intento di…. “assicurare uniformità di comportamento dei soggetti coinvolti”.

A tale proposito l’Inps ricorda che la posizione assunta dallo stesso Istituto con circolare n. 179 del 8 agosto 1989 nella quale veniva negata la compatibilità tra la carica di Presidente / amministratore unico / consigliere delegato con quella di un rapporto di lavoro subordinato all’interno della stessa società, è da ritenersi ormai superata a seguito delle numerose pronunce della Magistratura che dagli anni ‘90 a seguire hanno, di fatto, confermato la compatibilità a determinate condizioni ed in particolari contesti.

Eppure su quella corposa circolare, oggi ritenuta priva di effetti, non si rilevava una presunzione assoluta di incompatibilità con il lavoro subordinato per i soggetti citati, in quanto, la stessa circolare, disponeva che “

Quando questi infatti esprimono da soli la volontà propria dell’Ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina, in veste di lavoratori essi verrebbero ad essere subordinati di se stessi, cosa che non è giuridicamente possibile. Per essi pertanto, in linea di massima, è da escludere ogni riconoscibilità di rapporto di lavoro subordinato e della conseguente assoggettabilità agli obblighi assicurativi.

Ad avviso di chi scrive, il discrimine sulla compatibilità o meno di un contratto di lavoro subordinato era e rimane quello degli indici rilevatori della subordinazione e non più semplicisticamente la mera carica assunta dal soggetto che presta attività lavorativa all’interno della stessa società.

La distorsione interpretativa del concetto di subordinazione nei rapporti associativi era stata “confermata” dall’Inps con messaggio n. 15031 del 7 giugno 2007 nel quale, l’Istituto trattando della figura del presidente di cooperativa così concludeva: “

Pertanto la progressiva estensione da parte del legislatore della disciplina sul lavoro subordinato al socio lavoratore di cooperativa, comporta l’applicazione anche nei confronti di questi ultimi della regola generale dell’incompatibilità di prestazione d’attività lavorativa subordinata contemplata nella circolare 179/89 per i Presidenti del C.d.A., gli amministratori unici e i consiglieri delegati.

Tale orientamento veniva basato sulla sull’assunto che la prestazione lavorativa non potesse essere identificata con la prestazione mutualistica ritenuta strumentale ai fini del corretto inquadramento nell’ambito della mutualità.

Un chiarimento tranchant che sollevò virulenti proteste da parte degli operatori tanto da indurre l’Inps a sospenderne gli effetti con successivo messaggio n. 18663 del 18 luglio 2007 nel quale si dichiarava la problematica meritevole di ulteriori approfondimenti e….

tenuto conto dell’avvenuta rappresentazione da parte delle società cooperative di una multiforme realtà e di possibili conseguenze in capo a soggetti di strutture societarie di piccole dimensioni.  

Una vicenda intricatissima che sconta il peccato originale di aver considerato sovrapponibili, sic et simpliciter, l’amministratore di società ed il presidente di cooperativa senza tener conto delle enormi differenze esistenti tra società cooperative ed imprese in genere.

L’ulteriore “approfondimento” (durato ben 4 anni) cui si accennava sopra, trovò soluzione nel messaggio n. 12441 dell’8 giugno 2011 nel quale l’Inps, recependo le numerose pronunce della Cassazione, riconobbe la compatibilità di un rapporto subordinato tra il presidente di una cooperativa e la cooperativa stessa.

Un’evoluzione travagliata per una problematica che ad oggi non ha trovato, come spesso accade nel diritto del lavoro, piena soluzione.

Il messaggio Inps n. 3359/2019, prima di esaminare la posizione delle singole figure in ambito societario riporta l’orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione nelle sentenze n. 18476/2014 e n. 24972/2013 secondo cui  

l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente.

Partendo da tale principio, l’Istituto afferma che la carica di presidente di società (anche con potere di rappresentanza) non è di per sé considerata incompatibile con il rapporto di lavoro subordinato laddove lo stesso amministratore sia assoggettato alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale.

La compatibilità viene negata nel caso dell’amministratore unico della società in quanto detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina.

Appare utile ricordare che il potere direttivo consiste nell’individuazione ed imposizione da parte del datore delle modalità di svolgimento attraverso le quali l’attività lavorativa deve via via essere svolta; il potere disciplinare trova ragione nell’irrogazione di sanzioni in relazione ad eventuali inadempimenti del lavoratore mentre il potere di controllo si esplica attraverso la costante vigilanza sull’operato del dipendente.

Risulta chiaro, dunque, che tale soggezione non può essere rilevata nell’ambito di una struttura societaria nella quale i suindicati poteri siano attribuiti all’amministratore unico.

Nell’esaminare la figura dell’amministratore delegato, invece, l’Inps  opera una distinzione basata sull’ampiezza della delega conferita dal consiglio di amministrazione allo stesso amministratore.

L’articolo 2381 del c.c. sancisce che: “

Il consiglio di amministrazione, se l’atto costitutivo o l’assemblea lo consentono, può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto di alcuni suoi membri o ad uno o più dei suoi membri determinando i limiti della delega…..

L’Inps nel messaggio in commento chiarisce che per valutare la possibilità di instaurare con l’amministratore delegato un rapporto di lavoro subordinato, sarà necessario valutare i contenuti dell’autorizzazione all’esercizio di determinati poteri conferita dal consiglio di amministrazione.

In estrema sintesi ciò che rileva è verificare se la delega riguardi singole attribuzioni ovvero il conferimento di un potere più generale.

Nel primo caso, la delega limitata a singoli atti gestori non preclude la coesistenza in capo all’amministratore del doppio ruolo (amministratore/dipendente), atteso che esistono margini perché la prestazione lavorativa, a determinate condizioni, possa risultare eterodiretta.

Al fine di condurre una corretta analisi delle singole posizioni è necessario, secondo l’Istituto, valutare

i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il consiglio di amministrazione, la pluralità ed il numero degli amministratori delegati e la facoltà di agire congiuntamente o disgiuntamente, oltre – naturalmente – alla sussistenza degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione.

Al contrario, nel caso si tratti di delega generale, il vincolo di subordinazione risulterebbe evanescente proprio per la concentrazione dei poteri in capo all’amministratore.

L’Inps ha, inoltre, ritenuto di escludere la configurabilità del rapporto di lavoro subordinato con riferimento al socio unico in quanto la concentrazione della proprietà delle azioni in capo ad una sola persona rende vana ogni possibile analisi circa l’assoggettamento del socio unico alle direttive dell’organo societario.

Allo stesso modo viene esclusa la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro subordinato nel caso del c.d. socio sovrano, atteso che appare fortemente improbabile, in tale circostanza, che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro possano essere ricollegabili ad una volontà distinta da quella del singolo amministratore.

Dopo aver passato in rassegna gli aspetti critici delle prestazioni riferibili a soggetti investiti di cariche sociali, l’Inps sottolinea come tali criticità possano risultare ancora più marcate nel caso di attività lavorative che, per la loro natura, presentino caratteristiche di autonomia e discrezionalità, come avviene nel caso del lavoro dirigenziale.

In tale ultima circostanza, al fine di accertare la sussistenza del vincolo della subordinazione, l’Inps ritiene indispensabile la verifica delle seguenti condizioni:    

  1. assunzione con qualifica di dirigente; 
  2. conferimento della carica di direttore generale da parte dell’organo amministrativo; 
  3. cessazione del rapporto mediante licenziamento; 
  4. coordinamento dell’attività prestata dal dirigente in seno all’organizzazione imprenditoriale; 
  5. assoggettamento alle direttive e agli ordini datoriali, seppur mediato dall’autonomia decisionale propria del dirigente; 
  6. mansioni ulteriori rispetto alle attribuzioni sociali legate alla carica e alle deleghe. 

Se da una parte, dunque, si propende verso l’astratta possibilità di instaurazione per i titolari di cariche sociali di un autonomo e diverso rapporto di lavoro che può assumere le caratteristiche del lavoro subordinato, dall’altra si richiede l’accertamento in concreto delle seguenti condizioni ai fini del riconoscimento dello stesso: 

  •  affidamento del potere deliberativo diretto a formare la volontà dell’ente, ad un organo collegiale o ad un altro organo sociale espressione della volontà dell’ente; 
  • assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale rivestita, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene; 
  • svolgimento in concreto di mansioni estranee al rapporto organico con la società che non siano ricomprese nelle attribuzioni derivanti dalla carica rivestita o dalle deleghe affidate.

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